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2006-07-18 08:18:21 UTC
http://www.lastampa.it/CMSTP/rubriche/rubricahome.asp?ID_blog=13
RISPOSTE AI TIFOSI
Juve dopo la sentenza: giudizio e pregiudizio
17/7/2006
Il sassolino nella scarpa di Roberto Beccantini
La rabbia può essere un sentimento nobile e comprensibile, a patto che
non governi ma, al massimo, formi il governo di ognuno di noi. Essere tifosi
juventini, oggi, è diventato improvvisamente difficile. Lo sono dai tempi di
Omar Sivori, un genio che finì la carriera come l'ha conclusa Zinedine
Zidane: scazzottandosi con gli avversari. Giocava nel Napoli e, quella
domenica, l'avversario era la «sua» Juventus. Nessun dubbio che la sentenza
sia stata dura. Non scandalosa: dura. In rapporto, soprattutto, alla
sanzione inflitta al Milan. Più furbo, non meno colpevole: o se meno
colpevole, di poco. Rispetto agli altri, il tifoso juventino è, per
tradizione e vittorie, una sorta di figlio di papà: coccolato e, spesso,
graziato dagli déi; invidiato, osannato, vilipeso, perché la sua squadra è
stata innalzata dal destino a unità di misura del bene e del male. Un onere
che abbiamo sempre considerato un onore.
Molti mi hanno accusato di non aver difeso la Juventus come avrei
dovuto: da giornalista e, soprattutto, da giornalista de «La Stampa». Il
problema è, come si dice, a monte. Riguarda il mio lavoro e coinvolge il
rango stesso della Juventus. Un giornalista non può tifare «per» o «contro»
i fatti, a maggior ragione se sono il resoconto di intercettazioni
telefoniche. Vero, molti passaggi sono stati consegnati in pasto
all'opinione
pubblica per puro e censurabile voyeurismo, ma conta la sostanza, e la
sostanza è agghiacciante. Quanto al rango della società, bisogna essere
altrettanto chiari: più si è in alto, più aumentano i doveri. L'anomalìa
italiana è pensare che aumentino solo i diritti. Il tifoso pensa
esclusivamente ai suoi interessi che, spesso, beninteso, sono gli interessi
del suo cuore. Un giornalista non può. Con tutta la stima per Borrelli, che
in Italia esistesse un sistema bipolare Juventus-Milan si sapeva da anni. In
Germania, funziona addirittura un sistema mono-polare: comanda il Bayern.
Non c'è giocatore di club che non finisca a Monaco: ultimo caso, Lukas
Podolski, ex Colonia. Da noi, almeno, gli sfoghi istituzionali sono tre:
Inter, Juventus, Milan. La differenza è rappresentata dalla distribuzione
dei proventi televisivi. Faccio finta che neppure questa «diversità» mi
scandalizzi. Sto diventando cinico? Forse. Tutto, da noi, si svolge (si
svolgeva) lungo l'asse Milan/Berlusconi-Juve/Triade, con Moratti seduto «un
po' più in là», ma sempre allo stesso tavolo.
La scomparsa di Giovanni e Umberto Agnelli ha sottratto alla Juventus
un'arma cruciale: di immagine, di peso politico-sportivo e, oserei dire, di
venerazione (penso all'Avvocato). La Triade è rimasta sola: con Berlusconi,
sino a quando gli scopi coincidevano; contro, da quando non coincidono più.
È stato l'inizio della fine. Siamo, così, arrivati, al nocciolo della
questione. Gli arbitri. I designatori (ex, per fortuna). Moggi e Giraudo
hanno voluto strafare. Per legittima difesa, naturalmente. Non so se ci
avete fatto caso, ma tutti gli imputati dicono di aver agito per legittima
difesa: Moggi e Giraudo, per arginare lo strapotere televisivo del Milan;
Galliani, per mettere un freno ai raggiri juventini; Della Valle e Lotito,
perché vittime del regime.
Gli arbitri. Non starò certo a fare la morale a nessuno. Sin dai tempi
di Italo Allodi, sono stati l'oggetto del desiderio dei grandi club. C'è
modo e modo, però. E, soprattutto, dovrebbe esserci un limite. Possibile che
due manager scafati come Moggi e Giraudo si siano abbandonati a un tale
delirio di onnipotenza da indurre la Juventus a giocare, come emerge dalle
carte dell'inchiesta, due campionati, uno sul campo e uno al telefono?
Quante volte ho scritto contro lo scempio del doppio designatore e le scorte
dei vari De Santis? Non che il Milan e l'Inter non ne fossero beneficiati,
ma la Juve ci ha costruito su addirittura una rampa di lancio. In un vecchio
«sassolino», prendevo in esame le ammonizioni/espulsioni delle tre Grandi
fra campionato e Champions League. Non ci voleva Einstein per rendersi conto
di una diversità di metro che coinvolgeva tutti e, più di tutti, la
Juventus: tre rossi in 38 partite di campionato; cinque rossi in 10 partite
di Champions.
Ho ricevuto insulti, accentuati dalle presenze a «Serie A Mediaset».
Sarà stata una banale coincidenza, ma dalle intercettazioni è affiorato
quello che temevo e, sono sincero, non ero riuscito a immaginare: che, cioè,
la Juventus fosse arrivata a un tale livello di complicità arbitrale da
dettare, attraverso Moggi, persino le terne delle amichevoli estive. Molti
lettori, fra i quali Antonio La Rosa, si sarebbero aspettati una difesa più
ferma. Scusate, chi avrei dovuto difendere? Forse coloro i quali, pur
indubbiamente capaci, hanno trasformato dodici anni di successi in dodici
anni di ombre (al netto di tutte le invidie)? Ho gioito anch'io, e non me ne
vergogno, all'assoluzione in appello per le accuse di doping, ma adesso sono
qui che aspetto, con ansia, il verdetto della Cassazione. Ho stigmatizzato
anch'io i Rolex di Sensi, il decreto libera-extracomunitari (andate a
rileggervi le raccolte: troverete un mio pezzo in cui si parla di scandalo
tout court), il marcio di passaportopoli, le fidejussioni taroccate. Però un
giornalista non può ignorare che esistono altre squadre, altri tifosi che
reclamano parità di diritti. La Juventus, in quanto tale, deve rappresentare
un punto di riferimento, non già di collocamento (arbitrale).
Se poi, nel processo doping, è la stessa società a commettere un
clamoroso autogol (la richiesta di un super-perito, da cui la perizia
accolta in primo grado); e se al cumine di Calciopoli ne commette un altro,
non meno fragoroso (la richiesta, mascherata, di patteggiamento), io resto
senza parole: e voi? Altra cosa. Antonio Giraudo sostiene che molto, se non
tutto, è cominciato con l'immobilismo dei presidenti federali: Luciano
Nizzola, Franco Carraro. A parte il fatto che era pappa e ciccia con
entrambi, chi li ha portati, chi li ha votati e fatto votare? Sapete come la
penso: nell'harem, la Juventus era la tenutaria, ma nessuna società può
dirsi vergine. Nemmeno l'Inter di Moratti, che correva golosa a spartirsi i
tele-milioni spillati da Galliani & Giraudo e, strada facendo, ha impiegato
a lungo un giocatore, Alvaro Recoba, con documenti falsi. L'illecito emerso,
inoltre, non è un illecito classico, con la busta dei soldi (vedi Genoa) e
la confessione del corrotto. Al reato si arriva per «reticoli», per tappe,
per somma di condizionamenti. Non esiste la partita truccata: esiste il
forte convincimento che lo fossero molte.
Detto questo, la Juve è la Juve. Più un campionato non è credibile,
più non è credibile chi lo vince. Anch'io ho trovato «curiosi» gli sconti
praticati a Carraro, Galliani, Pairetto e c. rispetto alla richiesta di
radiazione avanzata per Giraudo e Moggi, nonché sospetto, molto sospetto, il
trattamento riservato al Milan. Nello stesso tempo, però, non riesco a
sminuire le responsabilità della coppia. E lo dico, e lo scrivo, da
juventino. Dipende dal valore che si assegna alla squadra del cuore. In
compenso, mi auguro che, davvero, possa nascere un altro calcio. Sarò un
illuso, sarò un moralista da strapazzo, tutto quello che volete: ma lo spero
sul serio. Con Moggi non parlavo mai, con Giraudo spesso. Vai a sapere quale
demone se l'è portato via. Proprio il trionfo mondiale di Berlino, con otto
juventini in campo fra vincitori e vinti, ha ribadito il concetto che una
squadra così forte non aveva bisogno di aiuti arbitrali; e neppure del
sospetto che li cercasse.
Ammesso e non concesso che sia una sentenza sbagliata (sinceramente:
non lo credo), detesto chi scorge un complotto dietro alla benché minima
decisione sfavorevole alla propria bottega. Il tifoso può permettersi di
chiudersi nell'orgoglio personale, e considerare la calamità capitata alla
sua squadra il massimo dell'accanimento divino. Il giornalista no. Il calcio
mi era sfuggito di mano; e con il calcio, la Juve. Un anno di B? Due? Meglio
uno, che discorsi. L'importante è far tesoro degli errori e degli orrori.
Due scudetti in meno sono sangue che zampilla. Qualcuno se l'è cavata a buon
mercato? Quante volte, in passato, ce la siamo cavata noi, a buon mercato.
Cara nemesi, goditi questo momento di gloria. La Juve ferita e
spogliata dei suoi gioielli ti aspetta al varco. Non vorrei essere nei tuoi
panni, quel giorno.
RISPOSTE AI TIFOSI
Juve dopo la sentenza: giudizio e pregiudizio
17/7/2006
Il sassolino nella scarpa di Roberto Beccantini
La rabbia può essere un sentimento nobile e comprensibile, a patto che
non governi ma, al massimo, formi il governo di ognuno di noi. Essere tifosi
juventini, oggi, è diventato improvvisamente difficile. Lo sono dai tempi di
Omar Sivori, un genio che finì la carriera come l'ha conclusa Zinedine
Zidane: scazzottandosi con gli avversari. Giocava nel Napoli e, quella
domenica, l'avversario era la «sua» Juventus. Nessun dubbio che la sentenza
sia stata dura. Non scandalosa: dura. In rapporto, soprattutto, alla
sanzione inflitta al Milan. Più furbo, non meno colpevole: o se meno
colpevole, di poco. Rispetto agli altri, il tifoso juventino è, per
tradizione e vittorie, una sorta di figlio di papà: coccolato e, spesso,
graziato dagli déi; invidiato, osannato, vilipeso, perché la sua squadra è
stata innalzata dal destino a unità di misura del bene e del male. Un onere
che abbiamo sempre considerato un onore.
Molti mi hanno accusato di non aver difeso la Juventus come avrei
dovuto: da giornalista e, soprattutto, da giornalista de «La Stampa». Il
problema è, come si dice, a monte. Riguarda il mio lavoro e coinvolge il
rango stesso della Juventus. Un giornalista non può tifare «per» o «contro»
i fatti, a maggior ragione se sono il resoconto di intercettazioni
telefoniche. Vero, molti passaggi sono stati consegnati in pasto
all'opinione
pubblica per puro e censurabile voyeurismo, ma conta la sostanza, e la
sostanza è agghiacciante. Quanto al rango della società, bisogna essere
altrettanto chiari: più si è in alto, più aumentano i doveri. L'anomalìa
italiana è pensare che aumentino solo i diritti. Il tifoso pensa
esclusivamente ai suoi interessi che, spesso, beninteso, sono gli interessi
del suo cuore. Un giornalista non può. Con tutta la stima per Borrelli, che
in Italia esistesse un sistema bipolare Juventus-Milan si sapeva da anni. In
Germania, funziona addirittura un sistema mono-polare: comanda il Bayern.
Non c'è giocatore di club che non finisca a Monaco: ultimo caso, Lukas
Podolski, ex Colonia. Da noi, almeno, gli sfoghi istituzionali sono tre:
Inter, Juventus, Milan. La differenza è rappresentata dalla distribuzione
dei proventi televisivi. Faccio finta che neppure questa «diversità» mi
scandalizzi. Sto diventando cinico? Forse. Tutto, da noi, si svolge (si
svolgeva) lungo l'asse Milan/Berlusconi-Juve/Triade, con Moratti seduto «un
po' più in là», ma sempre allo stesso tavolo.
La scomparsa di Giovanni e Umberto Agnelli ha sottratto alla Juventus
un'arma cruciale: di immagine, di peso politico-sportivo e, oserei dire, di
venerazione (penso all'Avvocato). La Triade è rimasta sola: con Berlusconi,
sino a quando gli scopi coincidevano; contro, da quando non coincidono più.
È stato l'inizio della fine. Siamo, così, arrivati, al nocciolo della
questione. Gli arbitri. I designatori (ex, per fortuna). Moggi e Giraudo
hanno voluto strafare. Per legittima difesa, naturalmente. Non so se ci
avete fatto caso, ma tutti gli imputati dicono di aver agito per legittima
difesa: Moggi e Giraudo, per arginare lo strapotere televisivo del Milan;
Galliani, per mettere un freno ai raggiri juventini; Della Valle e Lotito,
perché vittime del regime.
Gli arbitri. Non starò certo a fare la morale a nessuno. Sin dai tempi
di Italo Allodi, sono stati l'oggetto del desiderio dei grandi club. C'è
modo e modo, però. E, soprattutto, dovrebbe esserci un limite. Possibile che
due manager scafati come Moggi e Giraudo si siano abbandonati a un tale
delirio di onnipotenza da indurre la Juventus a giocare, come emerge dalle
carte dell'inchiesta, due campionati, uno sul campo e uno al telefono?
Quante volte ho scritto contro lo scempio del doppio designatore e le scorte
dei vari De Santis? Non che il Milan e l'Inter non ne fossero beneficiati,
ma la Juve ci ha costruito su addirittura una rampa di lancio. In un vecchio
«sassolino», prendevo in esame le ammonizioni/espulsioni delle tre Grandi
fra campionato e Champions League. Non ci voleva Einstein per rendersi conto
di una diversità di metro che coinvolgeva tutti e, più di tutti, la
Juventus: tre rossi in 38 partite di campionato; cinque rossi in 10 partite
di Champions.
Ho ricevuto insulti, accentuati dalle presenze a «Serie A Mediaset».
Sarà stata una banale coincidenza, ma dalle intercettazioni è affiorato
quello che temevo e, sono sincero, non ero riuscito a immaginare: che, cioè,
la Juventus fosse arrivata a un tale livello di complicità arbitrale da
dettare, attraverso Moggi, persino le terne delle amichevoli estive. Molti
lettori, fra i quali Antonio La Rosa, si sarebbero aspettati una difesa più
ferma. Scusate, chi avrei dovuto difendere? Forse coloro i quali, pur
indubbiamente capaci, hanno trasformato dodici anni di successi in dodici
anni di ombre (al netto di tutte le invidie)? Ho gioito anch'io, e non me ne
vergogno, all'assoluzione in appello per le accuse di doping, ma adesso sono
qui che aspetto, con ansia, il verdetto della Cassazione. Ho stigmatizzato
anch'io i Rolex di Sensi, il decreto libera-extracomunitari (andate a
rileggervi le raccolte: troverete un mio pezzo in cui si parla di scandalo
tout court), il marcio di passaportopoli, le fidejussioni taroccate. Però un
giornalista non può ignorare che esistono altre squadre, altri tifosi che
reclamano parità di diritti. La Juventus, in quanto tale, deve rappresentare
un punto di riferimento, non già di collocamento (arbitrale).
Se poi, nel processo doping, è la stessa società a commettere un
clamoroso autogol (la richiesta di un super-perito, da cui la perizia
accolta in primo grado); e se al cumine di Calciopoli ne commette un altro,
non meno fragoroso (la richiesta, mascherata, di patteggiamento), io resto
senza parole: e voi? Altra cosa. Antonio Giraudo sostiene che molto, se non
tutto, è cominciato con l'immobilismo dei presidenti federali: Luciano
Nizzola, Franco Carraro. A parte il fatto che era pappa e ciccia con
entrambi, chi li ha portati, chi li ha votati e fatto votare? Sapete come la
penso: nell'harem, la Juventus era la tenutaria, ma nessuna società può
dirsi vergine. Nemmeno l'Inter di Moratti, che correva golosa a spartirsi i
tele-milioni spillati da Galliani & Giraudo e, strada facendo, ha impiegato
a lungo un giocatore, Alvaro Recoba, con documenti falsi. L'illecito emerso,
inoltre, non è un illecito classico, con la busta dei soldi (vedi Genoa) e
la confessione del corrotto. Al reato si arriva per «reticoli», per tappe,
per somma di condizionamenti. Non esiste la partita truccata: esiste il
forte convincimento che lo fossero molte.
Detto questo, la Juve è la Juve. Più un campionato non è credibile,
più non è credibile chi lo vince. Anch'io ho trovato «curiosi» gli sconti
praticati a Carraro, Galliani, Pairetto e c. rispetto alla richiesta di
radiazione avanzata per Giraudo e Moggi, nonché sospetto, molto sospetto, il
trattamento riservato al Milan. Nello stesso tempo, però, non riesco a
sminuire le responsabilità della coppia. E lo dico, e lo scrivo, da
juventino. Dipende dal valore che si assegna alla squadra del cuore. In
compenso, mi auguro che, davvero, possa nascere un altro calcio. Sarò un
illuso, sarò un moralista da strapazzo, tutto quello che volete: ma lo spero
sul serio. Con Moggi non parlavo mai, con Giraudo spesso. Vai a sapere quale
demone se l'è portato via. Proprio il trionfo mondiale di Berlino, con otto
juventini in campo fra vincitori e vinti, ha ribadito il concetto che una
squadra così forte non aveva bisogno di aiuti arbitrali; e neppure del
sospetto che li cercasse.
Ammesso e non concesso che sia una sentenza sbagliata (sinceramente:
non lo credo), detesto chi scorge un complotto dietro alla benché minima
decisione sfavorevole alla propria bottega. Il tifoso può permettersi di
chiudersi nell'orgoglio personale, e considerare la calamità capitata alla
sua squadra il massimo dell'accanimento divino. Il giornalista no. Il calcio
mi era sfuggito di mano; e con il calcio, la Juve. Un anno di B? Due? Meglio
uno, che discorsi. L'importante è far tesoro degli errori e degli orrori.
Due scudetti in meno sono sangue che zampilla. Qualcuno se l'è cavata a buon
mercato? Quante volte, in passato, ce la siamo cavata noi, a buon mercato.
Cara nemesi, goditi questo momento di gloria. La Juve ferita e
spogliata dei suoi gioielli ti aspetta al varco. Non vorrei essere nei tuoi
panni, quel giorno.